giovedì 25 luglio 2013

Genoma, thriller esistenziale: estratti, parte seconda

CITAZIONI DA GENOMA. SECONDA E ULTIMA PARTE:


Lo colse la consueta, sottile inquietudine. Sempre all’ora del crepuscolo: forse perché il giorno muore e nasce la notte. Avvertì la depressione crescere sottilmente dentro di sé, come esalazioni che salissero in volute, in spirali, fino ai recettori del cervello. L’oscurità venuta giù come di peso, le luci al neon tremolanti nella foschia, le insegne multicolori dei negozi, le vie invase da fiumi di persone, gli ultimi bagliori delle feste aumentarono le sensazioni oscure.





Alle luci della sera l’asfalto ghiacciato luccicava come fosse tempestato di diamanti.


La biotecnologia è diventata un grande business, nascosto sotto la menzogna del soccorso medico o nutrizionale. I poveri però sono sempre più poveri. Nel Terzo Mondo – e non parlo solo dell’Africa, ma anche dell’America Latina e di certi paesi dell’Estremo Oriente – sono stati introdotti più organismi transgenici di quanto possiamo immaginare, con enorme rischio per la salute degli abitanti. Per non parlare dei vaccini e dei farmaci sperimentati su fette di popolazione utilizzate come cavie.



Il dolore era tutto. Il dolore era Dio: faceva scomparire perfino la nozione del mondo circostante. Il dolore danzava allegramente lungo tutto il corpo, rimbalzava dal cervelletto alle dita del piede e a ritroso, senza posa. Urlò e urlò e urlò ancora, imprecando e maledicendo confusamente, forsennatamente.




Rimase in piedi, impassibile, a osservare le lingue di fuoco che ne divoravano le mura e illuminavano di bagliori sinistri il buio della notte che cedeva all’alba.




Il paesaggio alternava scorci di meravigliosa bellezza tropicale a squallide aree abitate, composte da case diroccate, pali elettrici sbilenchi, automobili in cattivo stato e cani abbaianti. A un certo punto alzò lo sguardo verso il cielo rosso sangue e si sentì per la prima volta lontano da casa. Apparteneva a qualcosa da qualche parte, dopotutto. E a qualcuno.



Da balconi di tenebra o sotto luci al neon da obitorio, giovani donne richiamavano l’attenzione gridando frasi oscene con voci da bambine in un inglese stentato. Un effeminato con un vestito sgargiante portava a passeggio un levriero afgano. Un vecchio ubriacone biascicava insulti pisciando in un anfratto contro un muro. Un pugno di tossici, in preda a una lamentosa crisi di astinenza, si accalcava attorno a un uomo dall’aria equivoca che, seduto su una poltrona di vimini sulla soglia di casa, distribuiva bustine e ritirava banconote. Un cane ferito guaiva pietosamente nel buio. Bottiglie rotte e preservativi usati davano vita a composizioni astratte sul ciglio della strada.




Parevano tante drag queen, con occhi dalle lunghe ciglia finte, come satelliti circondati da orbite di mascara azzurro, viola, verde, le guance ricoperte da ceroni o da strati di biacca, le labbra tumide e gonfie di rossetti vistosi, rossi, scarlatti, rosa shocking, e si spostavano in gruppi da un punto all’altro del locale, senza mai smettere di ballare. Si salutavano stringendosi con braccia non di rado flaccide, si baciavano con fare plateale avvicinando ritmicamente i volti opulenti, urlando frasi incomprensibili per coprire la musica assordante. Luci stroboscopiche impazzite mandavano riflessi spettrali sulle loro fronti lucide di sudore.



L’arma penetrò fra le scapole dell’uomo. Ne vide vibrare la cassa toracica, ondeggiare le braccia rivolte in un ultimo slancio verso l’alto, cedere le ginocchia mentre rivoli di sangue scendevano lungo la schiena. Il viso dell’uomo era contratto in uno spasimo che rapidamente cedette a un pallore spaventoso: poi gli occhi si socchiusero e il corpo cadde in avanti, con un tonfo sordo, sul pavimento.



Ebbe inizio la fiera delle atrocità. Pensò che, se era un sogno, era irrequieto e rumoroso, ambientato in uno strano mondo di creature partorite dalla mente di un folle. Mostruose aberrazioni, sulle cui forme bizzarre occhi, braccia, gambe erano stati disposti in modo casuale, come brandelli di corpi a seguito di un’esplosione.



Il silenzio della terra pareva echeggiare nella luce del giorno che si spegneva adagio, ritirandosi giù giù nel lontano orizzonte. Il suo occhio seguì, come se fosse l’ultima volta, il lungo approssimarsi del crepuscolo che tenue, dolcissimo, metteva in fuga il chiarore da tutte le cose.




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